Oggi mie carissime fate con l’anima da strega, vi voglio parlare di una serie che amo: The Good Wife è una serie composta da sette stagioni per un totale di 156 episodi creata da Robert King, andata in onda su RaiDue adesso la potete vedere di Timvision.
Tutto inizia con il caso di corruzione, Peter Florrocik che viene arrestato lasciando sola la moglie Alicia, che si deve reinventare per sopravvivere alla sua nuova vita.
The Good Wife infatti parla di una donna che, dopo aver scoperto di essere così cornuta da non riuscire a passare nemmeno dal portone di casa, si ricostruisce una vita grazie alla sua laurea in legge, mentre il marito ex procuratore marcisce in carcere in attesa di giudizio per corruzione politica.
Il primissimo episodio inizia a scandalo già in scena, proprio con quella dichiarazione in stile Clinton con cui Peter Florrick (Chris Noth, Mister Big in Sex & The City) si dimette dalla carica di Procuratore Capo di Cook County, Alicia (una splendida Julianna Margulies, Carole Hathaway in E.R.) è di fianco a lui, struccata, ma pettinata e vestita da “brava moglie”: quel tipo di donna che, in una tale circostanza, sembra avere come unico ruolo quello di mostrare quanto ami davvero il suo Uomo, così tanto da stargli accanto nonostante tutto.
Proviamo a tornare alla domanda dei King: a cosa sta davvero pensando Alicia?
Mentre Peter parla, grazie a tocchi sapienti da parte della regia, riusciamo ad intrufolarci nella testa di questa donna solo apparentemente calma vediamo scene di sesso tra il marito e una prostituta, osserviamo insieme a Lei il sudore sul volto del marito e l’ansia tradita dalla mano che stringe il leggio, e poi ecco, il colpo di genio che può fare innamorare di una serie.
Mentre Peter continua a parlare, Alicia vive dentro di sé una devastazione emotiva da reprimere il prima possibile, ma all’improvviso nota un filo sulla giacca del marito, ecco che torna in gioco la “brava moglie”, quella che stringe il nodo alla cravatta del suo compagno prima di andare a lavoro e che toglie i pelucchi dalle giacche, Lei, donna tradita !! Lei, sempre e comunque moglie presente e al servizio di un uomo di potere. Alza la mano e sta per avvicinarsi alla manica della giacca, quando all’improvviso Peter, che ha appena finito di parlare, intercetta quella mano, la stringe nella sua e si avvia verso l’uscita.
Qui c’è tutta la metafora della “good wife”, quella che deve essere presente nelle occasioni pubbliche e rendere il marito presentabile, ma quando questa facciata (la mano alzata per togliere il filo) viene mal interpretata e usata come se fosse un gesto affettivo davanti al resto del mondo (Peter crede che la moglie stia per prendergli la mano come solo una brava moglie saprebbe fare) qualcosa si spezza.
E’ solo quando rimangono da soli che lei lo guarda negli occhi e gli tira uno schiaffo in pieno volto: è solo qui che ci accorgiamo che Alicia non ha ancora detto una parola, ma, in realtà, ci ha già detto tutto.
La serie ci racconta ciò che avviene 6 mesi dopo questa scena.
Peter è in carcere e Alicia deve riprendere a lavorare, per questo si rivolge ad un suo vecchio compagno di studi che, insieme ad altri due avvocati, ha fondato la Stern, Lockhart & Gardner.
Per ben 156 episodi che girano intorno a questo concetto: “you can’t always get what you want / but if you try sometime you find / you get what you need” (ovvero, “non puoi avere quello che vuoi: ma se provi e riprovi, potresti trovare quello di cui hai bisogno”), 156 episodi per sette stagioni compattissime di un serial che il Time ha definito uno dei più belli degli ultimi anni. Ora, senza voler essere faziosi, aggiungiamo che per livello di scrittura e di recitazione, The Good Wife ideata da Patrick e Michelle King- è il serial più bello ed importante degli anni 2000. Superato o quantomeno eguagliato solo dal suo spinoff, The Good Fight.
Un altro osso duro per la nostra good wife è rappresentato dalla suocera Jackie (Mary Beth Peil, l’intramontabile nonna di Jen in Dawson’s Creek), ferma sostenitrice di Peter e comunque di grande aiuto per la gestione dei due figli di Alicia e Peter, due adolescenti alle prese con i problemi della loro età e con il fatto che le “rocambolesche avventure” del padre siano praticamente ovunque grazie a internet.
Nello studio legale in cui Alicia lavora, i personaggi sono quanto di meglio i King potessero creare.
Ogni puntata si basa su uno o più casi che lo studio deve affrontare, ma la parte più strettamente legale non è mai separata dalla vita di Alicia, le due parti della serie si intrecciano costantemente, che sia una corrispondenza emotiva (comunque mai urlata nella sceneggiatura, ma evidenziata con estrema classe da scelte registiche ineccepibili) o un effettivo collegamento, dato dal fatto che lei è e rimane la moglie dell’ex procuratore.
Il già citato compagno di studi Will Gardner (Josh Charles, Dead Poets Society) e Diane Lockhart (Christine Baranski, attrice di lungo corso), gli unici due soci sempre presenti, costituiscono un’accoppiata lavorativa perfetta, capaci di essere incredibilmente divertenti (la risata di Diane è ormai leggenda), sono al contempo due professionisti che sanno mostrare le unghie tutte le volte che se ne presenti l’occasione. Inutile dire che Will e Alicia abbiano un passato alle loro spalle, perlopiù caratterizzato da un “bad timing”, una pessima tempistica che non li ha mai visti davvero insieme, tuttavia, prima di fare quelle facce e alzare il sopracciglio, sappiate che anche in questo caso nulla è come sembra e i King riescono ad affrontare la vicenda con originalità e delicatezza.
Alicia dovrà contendersi il posto con Cary (Matt Czuchry, Logan Huntzberger in Gilmore Girls), altro personaggio di spessore insieme alla meravigliosa Kalinda (Archi Panjabi), investigatrice dello studio legale, la cui descrizione a parole non renderebbe giustizia neanche se parlassi di lei per le prossime 100 righe (stesso dicasi per Eli Gold, di cui non si può dire nulla se non a rischio spoiler, ma credetemi quando vi dico che uno dei motivi per cui vedere The Good Wife è proprio lui).
L’ultimo episodio, con una ghignante struttura ad anello, chiude così come nel 2009 la serie aveva aperto Alicia Florrick dietro al marito, Peter, che annuncia al mondo il suo ritiro dalla carica di governatore per problemi con la giustizia. Con la differenza che se nel primo episodio Alicia, pallida e sciatta nel suo tailleur di Channel mal portato, sembra l’ombra di Peter, nell’ultimo lascerà la mano del marito per seguire un’altra ombra, quella di un amante forse perduto per sempre.
The Good Wife gioca in continuazione con lo spettatore, lo fa da sempre, insomma, dalla prima inquadratura della prima puntata della prima stagione, eppure allo spettatore non concede nulla, perché non c’è serial meno fan service di quello creato dai King. Nessuna concessione alla musica pop, infatti i King preferiscono utilizzare musica classica come sottofondo delle vicende dei loro protagonisti, tutt’al più, le rare eccezioni che confermano la regola sono tracks dal gusto molto rigoroso e sobrio, come i Clem inside, nessuna concessione alle svolte telefonate, alle relazioni amorose contorte e acchiappa like, nessun personaggio che va dove lo spettatore immagina facilmente che vada.
The Good Wife è un serial che tira dritto per la sua strada di buone intenzioni che, come si sa, portano ad un passo all’inferno, austero e bellissimo restituisce una dei ritratti di donna più riusciti, approfonditi e tridimensionali della narrativa degli Anni Zero e Dieci, quello di Alicia Florrick che ha le splendide, dure, delicate ed emozionanti fattezze di Julianna Margulies. È lei la good wife, la buona moglie che guida la storia, è lei attorno alla quale si sviluppano trame e sotto trame intricate ma portate fino alla loro ineluttabile conclusione con scrittura brillante e perfetta, mai fuori misura. Alicia è complessa, carismatica, la bussola morale per eccellenza almeno all’inizio, perchè The Good Wife rappresenta la sua perdita dell’innocenza, il suo percorso di crescita, la sua scoperta del mondo e attraverso lei il disvelamento della vera natura del mondo e dell’uomo, intrecciando la complessità del nostro presente che lega indissolubilmente pubblico e privato.
Un tempo lei era una persona migliore”, le dice il collega Cumming uno straordinario Michael J. Fox “Lo so: ma chi non viene usato?”, risponde lei. The Good Wife è bello quanto tremendamente, assolutamente, disperatamente nichilista, per quel suo non offrire nessuna speranza di salvezza alla natura umana. Che è perversa, diabolica e naturalmente portata al Male. Se una cosa ci ha insegnato Alicia nelle sue 156 puntate è che per sopravvivere alla vita è necessario fortificarsi così tanto per non farsi travolgere dai rimorsi al punto da dover necessariamente sacrificare qualcosa di sé, un pezzo della propria anima o della propria vita.Esemplare, e splendida, lacerante, dolorosa, vibrante è l’ultimissima scena dell’ultima puntata dell’ultima stagione, pur di difendere fino all’ultimo il marito Peter dall’ennesima accusa in tribunale, la buona moglie non esita (“buona” fino in fondo, fino alla fine, fino all’estremo ma sempre a modo suo) a gettare fango sul marito della collega di studio Diane Lockarth, uomo integerrimo sul quale però la difesa giudiziaria di Alicia scarica addosso scheletri dimenticati e perdonati negli armadi. Nell’ultima sequenza, infatti Alicia e Diane si incontrano in un corridoio, e Diane dopo uno sguardo raggelante che sembra durare un’eternità dà uno schiaffo all’altra donna.
Uno schiaffo solo, che però getta sulle sue spalle il peso della colpa di sette stagioni di tradimenti e bugie, ma soprattutto del tradimento di un’etica che mai come in The Good Wife è mai stata così trasparente eppure mai, come nel personaggio di Diane, alla fin dei conti vera bussola morale della serie, difesa così strenuamente, donandole un senso e un significato più forti del dolore.
Insomma, la questione morale al centro della storia (di una casalinga moglie di che si trova costretta a doversi reinventare dopo il forzato abbandono del marito e a ricostruire la propria vita professionale e sentimentale) ha investito ogni rivolo ed ogni emanazione, ogni sotto trama e ogni personaggio, fino a trasformare The Good Wife in una sorta di pamphlet, una guida a districarsi o meglio a capire come sopravvivere in un’esistenza che è la somma di politica, lavoro e sentimenti indissolubilmente legati tra di loro, proprio come nella realtà.
It was romantic because it didn’t happen”, è la frase con la quale lo “spettro” di Will Gardner libera Alicia dal senso di colpa per non aver vissuto appieno la loro storia d’amore. È quello che non succede davvero, ciò che vorremmo ma non riusciamo a realizzare, a dare un senso alla nostra vita? Il doloroso percorso di Alicia non è come quello di Ellen Parsons (Damages) o di Walther White (Breaking Bad): non è una progressiva perdita dell’innocenza di un individuo fondamentalmente benevolo, bensì una maturazione che sembra positiva per la presa di coscienza e l’assunzione di responsabilità, ma che in realtà è un compromesso morale con la vita stessa che si nega persino a sé stessi. Dimenticando, mentre si cerca la felicità, che la felicita è quella cosa che ci passa accanto mentre la cerchiamo.
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Un Bacio Fatato
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