Il problema della ricostruzione però rimane. Lo Stato non ha più soldi sufficienti per rattoppare alla svariate emergenze. Da qui la decisione di dover applicare una nuova strategia per fronteggiare lecalamità naturali, come i terremoti. Ma le soluzioni contenute nel decreto hanno sollevato un polverone di polemiche. A preoccupare i critici è in particolare un punto del provvedimento, ribattezzato emblematicamente con il nome di “tassa sulle disgrazie”. Si tratta di una tassa che le Regioni colpite da calamità potranno decidere di applicare sulla benzina. Potranno cioè decidere se aumentare il prezzo o meno della benzina di 5 centesimi per racimolare un po’ di euro da usare per l’ emergenza.
Lo Stato, infatti, si chiama fuori per quanto riguarda i fondi necessari per le ricostruzioni degli edifici privati danneggiati. Il costo va a ricadere sui cittadini. Come? Stipulando una polizza assicurativa. In pratica, il decreto introduce il principio delle coperture assicurative su base volontaria contro i rischi di danni derivanti da calamità naturali. Quindi, il provvedimento stabilisce che “al fine di consentire l’avvio di un regime assicurativo per la copertura dei rischi derivanti da calamità naturali sui fabbricati a qualunque uso destinati” e per garantire “adeguati, tempestivi ed uniformi livelli di soddisfacimento delle esigenze di riparazione e ricostruzione” dei beni immobili privati, “ possono essere estese ai rischi derivanti da calamità naturali tutte le polizze assicurative contro qualsiasi tipo di danno a fabbricati di proprietà di privati”. In parole, povere se un terremoto provoca il crollo della casa solo i cittadini che hanno stipulato un’assicurazione potranno avere un risarcimento.
Per i critici si tratterebbe di una scelta “discriminatoria”. sarebbe In effetti, l’ assicurazione su base volontaria sancisce la disparità tra cittadini che vivono in zone non a rischio e quelli che, invece, si trovano in aree sismiche o a rischio idrogeologico. C’è poi il concreto pericolo che le compagnie assicurative non stipuleranno polizze, o lo faranno a cifre esorbitanti, in tutte quelle zone dove i rischi sono storicamente molto alti.
E’ possibile quindi che la naturale evoluzione di questo provvedimento alla fine porti a un tipo diassicurazione obbligatoria per tutti che potrebbe avere un costo di circa 100 euro ad abitazione, stando alle stime dei tecnici delle amministrazioni dello Stato e delle assicurazioni.
Boccia decisamente questo provvedimento il Consiglio nazionale degli architetti. “Larga parte degli italiani vive in zone a rischio sismico ma pochissimi sanno se la loro casa è davvero sicura o no: perché dovrebbero mettere mano al portafogli e sottoscrivere una costosa polizza assicurativa?”, si chiede il presidente Leopoldo Freyrie.
Il patrimonio edilizio italiano, secondo gli esperti, è tutt’altro che chiaro. I numeri sono impressionanti: entro i prossimi dieci anni l’85% dell’edificato urbano avrà piu' di 40 anni; e saranno oltre 6 milioni gli stabili esposti a gravi rischi sismici e un milione e 300mila quelli esposti a rischi idrogeologici. “I danni maggiori - spiega Freyrie - in Abruzzo come in Emilia Romagna li hanno patiti gli edifici moderni , quelli costruiti nel dopoguerra, con una vita media di 70 anni e quindi bisognosi di interventi più meno urgenti di manutenzione e restauro. Senza dimenticare che tutte le principali norme antisismiche sono di venti e dieci anni fa”.
Potrebbe suceddere che l’ assicurazione, se la casa è costruita con criteri antisismici chiederà relativamente poco, sui 130 euro l’anno, stimano gli architetti. “Se la casa è in zona a rischio ma non è costruita con criteri antisismici - dice Freyrie - pretenderà il massimo del premio. Quanti saranno in condizioni di pagarlo? Prima di decidere una rivoluzione simile, occorrerebbe procedere a un censimento degli edifici, stimare il costo delle polizze e capire come spalmare questi costi da punto di vista sociale”.
Altra questione spinosa di questo decreto è la durata dello stato d’emergenza, cioè il periodo in cui è lo Stato a farsi carico di tutte le spese. Il provvedimento stabilisce un periodo di 60 giorni, con la possibilità di un’unica proroga di 40. Una decisione, questa, presa per evitare che gli stati d’emergenza durino anni. Allo scadere del termine cosa succederà ancora non è chiaro. Ma a quanto pare il nodo verrà sciolto ricadendo sulle spalle delle vittime di quest’ultimo terremoto emiliano.
“Le parole di cordoglio e la vicinanza alle persone colpite dal terremoto dell’Emilia non servono a nulla se poi non sono accompagnate da serie misure di sostegno”, dice il presidente dei senatori dell’Italia dei Valori, Felice Belisario, criticando il decreto . “Aumentare il costo della benzina - sottolinea - è la solita soluzione facile che in realtà non risolve un bel nulla e grava sempre e solo sui cittadini già tartassati e colpiti direttamente dagli eventi calamitosi".
Rimane, infine, ancora aperta la questione su chi pagherà il recupero del patrimonio artistico e culturale, punto fondamentale soprattutto per via delle pesanti perdite provocate da quest’ultimosciame sismico. Non si sa infatti chi si sobbracherà i costi di ricostruzione, ad esempio, della cinquecentesca Torre dei Modenesi, di Palazzo Veneziani e della Torre del Duomo di Finale Emilia, in provincia di Modena. E non si sa chi pagherà per la chiesa di Concordia e per la navata centrale della chiesa di Rovereto sulla Secchia o il centro storico di Carpi. Chi si occuperà della statua crollata all’interno della chiesa di San Giovanni in Persiceto e i danni alla chiesa di Caselle di Crevalcore a Bologna? Lo stesso ministro dei Beni Culturali, Lorenzo Ornaghi, parla di danni“davvero ingenti” per i beni architettonici e culturali. “Quantificare in termini di euro – dice - è ancora prematuro ma in ogni caso siamo nell’ordine di diverse decine di milioni”. Ad essere stato danneggiato, spiega il ministro, è “uno dei patrimoni culturali più importanti a livello nazionale”. Eppure, probabilmente i costi del recupero saranno solo regionali.
Molti sono i dubbi sulle reali possibilità della Regione di affrontare spese di questo tipo, a fronte anche dei costi di gestione dell’emergenza. Purtroppo la risposta a questi interrogativi non c’è e rischia di essere sperimentata sulla pelle dalle persone vittime del terremoto emiliano.
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