In una radura che pervade in egual misura rituale e delirio, la sfilata Spring 26 di Alexander McQueen si è dispiegata come un sogno febbrile: viscerale, seducente e carica di un ritmo primordiale. Il paesaggio sonoro, ricco di sospiri gutturali e grida animalesche, ha immediatamente creato un tono di disagio e attesa. Per la sua ultima uscita, il direttore creativo Sean McGirr ha tratto ispirazione da The Wicker Man, il film cult del 1973 che evoca mistero pagano e terrore psicologico. Attraverso questa lente cinematografica, McGirr ha esaminato la fede, la fertilità e il potere femminile, costruendo una narrazione che fonde la spiritualità cruda del folklore con la storica fascinazione della maison per il pericolo, la sensualità e il decadimento. Se il DNA di McQueen ha sempre prosperato sulla tensione tra bellezza e brutalità, struttura e caos l'interpretazione di McGirr è risultata al tempo stesso reverente e profondamente personale. La sua decisione di mettere in scena una collezione esclusivamente femminile ha amplificato quell'energia dinamica, spingendo la sensualità femminile oltre i confini dello spettacolo, verso qualcosa di istintivo. La collezione si è aperta con la resurrezione del bumster, quella provocazione a vita bassa degli anni '90 che un tempo scandalizzava il pubblico. Questa volta, è apparso in lana blu navy dal taglio impeccabile e pelle lucida, con zip e pieghe sui fianchi come un'armatura cerimoniale. Abbinati a giacche scolpite e cappotti da ufficiale con alamari, questi look hanno rivendicato l'erotismo come disciplina per il corpo come campo di battaglia e altare. La sartorialità di McGirr continua a definire il suo mandato da McQueen. I suoi abiti portano l'autorità dell'uniforme, ma la sovvertiscono attraverso la decostruzione: revers stropicciati, orli irregolari e spalline sfilacciate come se fossero state consumate dal sale marino o dal fuoco rituale. Ogni capo suggerisce una metamorfosi in atto: l'ordine che si dissolve nella libertà. Le deliberate imperfezioni dei capi conferiscono loro una sensualità vissuta, una traccia di umanità sotto il loro rigore formale. Contro quella struttura si trovano capi di disarmante fragilità: top con lacci a corsetto, gonne di cotone sfilacciate e abiti delicati che sembrano lavati e indossati di nuovo, come reliquie del desiderio riscoperte dopo un temporale estivo. La dualità della natura fertile e selvaggia permea la collezione. McGirr la traduce in stampe raffiguranti insetti intrecciati che, a prima vista, assomigliano a fiori prima di rivelare la loro intimità sovversiva. Abiti scintillanti di perline catturano la luce come rugiada sui petali, mentre top in pelle simili a gabbie alludono sia alla moderazione che alla liberazione. È una collezione radicata nei contrasti: erotico ma sobrio, pagano ma sartoriale, oscuro ma tenero. Il concetto di imperfezione di abiti che portano l'impronta del tatto e del tempo, sottolinea la visione di McGirr della bellezza come qualcosa di vivo, pulsante e provocatoriamente umano. Se la sua stagione d'esordio lascia presagire una cauta ricostruzione, questo secondo atto ha segnalato una paternità sicura di sé. McGirr non sta inseguendo i fantasmi di Lee McQueen, né cerca di edulcorare la sua ribellione. Piuttosto, sta forgiando la continuità attraverso l'emozione: quella cruda e schietta che nasce dall'istinto piuttosto che dall'intelletto. La collezione Spring 26 non ha scioccato alla vecchia maniera di McQueen; al contrario, ha sedotto, sconvolto e indugiato come un ritornello inquietante. In una stagione gremita di garbata nostalgia, il McQueen di McGirr è sembrato gloriosamente scortese: un'invocazione di lussuria, decadenza e rinnovamento che ha ricordato a Parigi come la moda possa ancora ardere di fuoco rituale.
Un Bacio Fatato
Vi aspetto al mio prossimo piccolo incantesimo
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