Il debutto più atteso della Settimana della Moda di Parigi si è svolto al Grand Palais Éphémère, dove Jonathan Anderson ha presentato la sua prima collezione donna per Dior. La maison ha allestito il palcoscenico con un prologo cinematografico: uno schermo a piramide rovesciata che proiettava frammenti di storie di Dior e dei suoi numerosi architetti, scontrandosi con passato e presente in un modo che rendeva inevitabile il peso della successione. Non si è trattato semplicemente di una sfilata di moda, ma di un confronto pubblico con l'eredità, la paura ma anche il rinnovamento. Anderson si è ispirato ai codici di Dior, filtrandoli però attraverso il suo filtro irriverente. Il look di apertura un abito a campana in criniera avvolto in jersey e chiuso con fiocchi, suggerisce una purezza scultorea, rapidamente compensata da uno smoking elegante con inserti in denim e sormontato dal sovversivo tricorno di Stephen Jones. È apparsa la familiare giacca Bar, ma in un tweed verde acido, ridotta a proporzioni infantili con una gonna a pieghe, che rende omaggio e al tempo stesso distorce un'icona. Questa tensione costante tra omaggio e rottura corre come un filo conduttore chiaro lungo tutta la sfilata. Le silhouette oscillano tra fragili pizzi da lingerie che si aprono come ali, abiti a palloncino e chiffon spumeggianti ricamati con nontiscordardimé, evocando un sogno di principessa rivisitato per il presente. Eppure, gli istinti più oscuri di Anderson emergono in modi inaspettati: top in raso che esplodono in alte gorgiere di pizzo che nascondono il viso, o pantaloni cargo che si gonfiano sotto giacche elaborate. Queste giustapposizioni creano momenti di surreale teatralità senza sconfinare nel costume, riaffermando il suo istinto per la provocazione bilanciato dalla vestibilità. Ciò che ha reso la collezione avvincente non è stato solo il suo approccio storico, ma anche la sua insistenza sulla praticità moderna. Le mantelle spaziano dal cerimoniale al casual, con l'aggiunta di semplici polo e denim che ancorano la fantasia alla realtà quotidiana. Gli accessori proseguono questo dialogo: la Lady Dior si e addolcita in borse bowling in suede, mentre le giocose décolleté con tacco Louis spuntano con orecchie da coniglio, un ricordo dell'arguzia di Anderson e della sua capacità di rendere l'eccentrico molto più commerciabile. Per un debutto prodotto in soli due mesi, la collezione è apparsa straordinariamente ponderata. Non si è trattato di una completa riscrittura di Dior, né di un tentativo di cancellare ciò che era venuto prima, ma piuttosto di una netta ricalibrazione dei suoi codici. Se Maria Grazia Chiuri ha liberato Dior dalla corsetteria, Anderson ora cerca di liberarlo dalla venerazione stessa, intrecciando decenni l'uno nell'altro per creare un linguaggio che appare allo stesso tempo storico e immediato. Il verdetto: Anderson ha presentato una collezione teatrale e pragmatica, capace di sedurre i tradizionali clienti Dior e di catturare la curiosità di un pubblico più giovane e sperimentale. Bilanciando spettacolo e sostanza, si è posizionato non solo come il nuovo amministratore delegato di Dior, ma come uno stilista intenzionato a rimodellare la narrativa della maison per il prossimo decennio. Il suo debutto non ha esitato a correre rischi e, in questo rifiuto, ha gettato le basi per una nuova era entusiasmante, seppur imprevedibile, per Dior.
Un Bacio Fatato
Vi aspetto al mio prossimo piccolo incantesimo
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