Alla Milano Fashion Week, Antonio Marras ha presentato una collezione che resisteva a facili categorizzazioni. Radicata nella tradizione sarda ma declinata attraverso silhouette moderne, la sfilata Spring 26 è più un'espressione di responsabilità che di nostalgia: come la tradizione possa essere tramandata senza essere imbalsamata. L'approccio di Marras non è né un folklorismo da cartolina né un restauro museale, ma qualcosa di più vitale: un tentativo di dare un futuro agli abiti del passato. La passerella è diventata un dialogo tra eredità e invenzione. Elementi originali i busti di Tissi e Ploaghe, le camicie di Busachi, gli orli delle gonne di Oliena, i berretti di Ittiri, i grembiuli di Ossi e Sennori sono stati reinterpretati in contesti contemporanei. Marras ha tradotto questi riferimenti in abiti da diva, ampi caban, tailleur destrutturati, abiti da sera, abiti da cocktail e completi pigiama. I tessuti si sovrappongono in fitti strati: pizzo e damasco, jacquard e quadri, pelle e denim, maglieria così intricata da sembrare ricamata. I colori evocano il sole mediterraneo che filtrava attraverso le tende: lilla, cadmio, rosa cipria, écru, prugna, bronzo, sabbia e nero slavato. Drappeggi, plissettature e tecniche di moulage non sono trattati come abbellimenti, ma come movimento vero e proprio: tessuti scolpiti per assecondare l'intimità del corpo anziché distanziarlo. Marras ha da tempo intrecciato narrazioni plurali nel suo lavoro, e qui il Mediterraneo è stato posizionato come un crocevia piuttosto che una periferia. La presenza di Giuseppe Ignazio Loi, il pastore sardo la cui resistenza alla speculazione è stata immortalata nel cinema, ha dato alla mostra un peso etico. La tradizione, sembra sostenere la collezione, non è neutrale, comporta scelte, posizioni e responsabilità. La chiave è stata l'uso consapevole del costume. Un busto di Nuoro o un grembiule di Ittiri, citati con provenienza e tecnica, non sono stati consumati come decorazione superficiale, ma riabitati con rispetto. Non si è trattato di appropriazione estetica, ma di uno scambio, di un patto tra archivio e atelier. La collaborazione di Marras con l'Archivio Laboratorio Piroddu di Sennori ha sottolineato questo, l'archivio non come deposito polveroso, ma come fonte viva di continuità. Ciò che ha reso la collezione convincente è stato il suo rifiuto di mettere in scena un esotismo da Souvenir. Ha invece chiesto al pubblico di vedere la tradizione come viva, dinamica e abitabile. Marras non ha messo in scena uno spettacolo, ma un ritorno a casa, una casa con finestre su paesaggi verdi, libri sul tavolo, ago e filo a portata di mano. Nelle sue mani, il costume è tornato ad essere un abito, e la Sardegna è tornata sulla scena mondiale non come un'altra cosa esotica, ma come centro di vitalità culturale.
Un Bacio Fatato
Vi aspetto al mio prossimo piccolo incantesimo
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