Tra tutti i debutti a Milano di questa stagione, nessuno ha avuto più peso della prima uscita di Dario Vitale per Versace. Lo stilista 42enne, fresco del suo incarico di direttore creativo della linea donna di Miu Miu, entra a far parte della maison come primo responsabile creativo non Versace. Con Donatella Versace ora a capo della maison e il marchio in fase di acquisizione da parte di Prada, le aspettative sono no alte. La cornice è all'altezza della gravità del momento: la Pinacoteca Ambrosiana, con i suoi tesori di Caravaggio e Leonardo da Vinci, si è trasformata in un intimo palcoscenico per la reinvenzione. L'approccio di Vitale è stato audace nel suo rifiuto dell'ordinario. Non è apparso un solo abito lungo fino a terra. Al contrario, la collezione ha smantellato l'immagine di Versace di glamour scintillante e potente, rilanciandola per una generazione attratta da un sex appeal in forme disfatte e imperfette. Gli abiti in jersey evocano Madame Grès nella silhouette, ma sono spezzati da cuciture a vista e lampi di slip con logo sottostanti. I top imitano le canottiere Miami, con un taglio profondo e bordi grezzi. Le cinture larghe sul denim a vita alta, con le cerniere slacciate, introducendo un disordine intenzionale. La cotta di maglia, un tessuto simbolo della maison, è tornata non come armatura da red carpet, ma come un giocoso top a reggiseno e gonna abbinato a un cardigan morbido annodato sui fianchi. La sartorialità esprime la sicurezza tecnica di Vitale. I tailleur in lino abbinano il melanzana all'arancione acceso o l'azzurro al verde kelly, contrasti di colore che risultano spontanei ma controllati. Le stampe di Versace, da sempre sinonimo di massimalismo barocco, sono state ripensate come un eclettico guardaroba di motivi disparati, tutti diversi tra loro, come il mix curato che si potrebbe scoprire nell'armadio di un collezionista vintage. Gli accessori sottolineano la sensibilità dei millennial, con décolleté eleganti e borse femminili indossate in modi che uniscono nostalgia e immediatezza. Il casting ha abbracciato diverse generazioni, ma la collezione si è orientata inequivocabilmente verso i contemporanei di Vitale: coloro che hanno un occhio di riguardo per la sovrapposizione, l'irriverenza e la disinvoltura body conscious del Versace vintage, reinterpretato attraverso la lente di oggi. Non si trattava di mitizzare la storia della maison, ma di riportarla dall'Olimpo alla strada, più vicina alla realtà delle serate in discoteca e ai gesti quotidiani. L'allestimento di Vitale ha reso esplicito il suo punto di vista. Trattando il museo come una casa, con tanto di lenzuola personali infilate in un'installazione angolare, ha ripensato Versace come qualcosa in cui si vive piuttosto che osservato da lontano. Il gesto riecheggiava il Teorema di Pasolini, dove una presenza dirompente risveglia una famiglia, una metafora calzante per il suo ruolo nella maison. Come tutti i debutti, questo non ha assecondato le aspettative. È stato irrequieto, leggermente crudo e deliberatamente destabilizzante. Per alcuni, la mancanza di raffinatezza può risultare disorientante; per altri, segnala un'urgente ricalibrazione di una maison troppo spesso appesantita dal suo passato. Vitale ha regalato a Versace una dose di realtà: sensuale, imperfetta e umana. Questo potrebbe rivelarsi il gesto più radicale di tutti.
Un Bacio Fatato
Vi aspetto al mio prossimo piccolo incantesimo
#Spring26 #Versace #moda #outfit #look #fashion #fashionstyle #style #fashionista #trendy #tendenza #glam #glamour #musthave











































Nessun commento:
Posta un commento